CONTROLLO AMBIENTALE 

01.11.2023

Chi può negare che l'ambiente è distrutto?

Fino al 1956 lungo il Delta del fiume Niger si estendeva un'oasi incontaminata. Le foreste di mangrovie formavano intricati labirinti nei quali si sviluppava un delicato ecosistema in cui le popolazioni locali vivevano in equilibrio con la natura, traendo da essa il loro sostentamento quotidiano. In quell'anno, nel Delta vennero scoperti i primi giacimenti petroliferi che hanno trasformato quell'oasi in un inferno che ancora oggi continua a bruciare. Da allora le compagnie petrolifere, in particolare la Shell che controlla circa la metà del greggio complessivo, la Total, la Chevron e l'Eni, hanno colonizzato il territorio, appoggiate da governi militari deboli e corrotti, che nel corso degli ultimi 50 anni hanno svenduto le risorse naturali del loro paese in cambio di profitti illeciti. Hanno messo a tacere le ingiustizie che le popolazioni locali sono costrette a subire giornalmente. Nel Delta del Niger (una regione di circa 70.000 kmq con 40 milioni di abitanti), si produce la maggior parte del petrolio nigeriano, circa 2,4 milioni barili al giorno.

L'inquinamento criminale viene causato dalla perdita del greggio che fuoriesce da tubature vecchie ed usurate dal tempo che si estendono nel territorio per centinaia di chilometri, riversando così il petrolio nell'acqua del fiume e lungo le sue sponde. Le persone che vivono in questo luogo respirano un'aria inquinata, mangiano pesce contaminato e bevono acqua mista con il petrolio. Sono 36 mila km² di mangrovie, corsi d'acqua e lagune invasi dalla melma nera. Per rifornirsi di acqua potabile, le popolazioni locali sono costrette a scavare nel sottosuolo fino a 50 metri di profondità, causando instabilità del terreno e ponendo la zona a rischio di frane.

Il recente rapporto del PNUE, cioè il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, denuncia apertamente questa catastrofe ambientale. Sono stati esaminati più di 4 mila campioni estratti dai 780 pozzi della zona. Il risultato è sconcertante: le popolazioni bevono, cucinano e si lavano con acqua proveniente da pozzi contaminati dal benzene, in cui i livelli di tossicità sono 900 volte superiori a quanto consentito dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Anche l'aria viene contaminata dai gas, sottoprodotti delle estrazioni petrolifere, che vengono bruciati a cielo aperto dal 1985, pratica definita "gas flaring" (gas esplosivo) che fa sprecare ogni anno una quantità di gas pari al 30% del fabbisogno europeo. Questo gas potrebbe essere reinserito nel sottosuolo oppure utilizzato per i fabbisogni energetici della Nigeria; invece viene bruciato dalle multinazionali, perché ciò rende l'estrazione del petrolio molto più veloce, abbassando così i costi di gestione e di produzione.

Il solo inquinamento ambientale prodotto dal "gas flaring" nel mondo, diventa pari alle emissioni di 77 milioni di auto o di 125 centrali a carbone. Le fiammate ardono continuamente di giorno in giorno, rendendo irrespirabile l'aria, facendo così aumentare considerevolmente la temperatura attorno alle trivellazioni e causando malattie della pelle, degli occhi , disturbi gastrointestinali, leucemie e cancro. La legge nigeriana vieta la pratica del "gas flaring" perché viene ritenuta pericolosa per l'ambiente e per la salute umana, ma i governi non sono mai riusciti ad imporre la soluzione del problema. I vertici dello stato nigeriano dovrebbero rafforzare la regolamentazione in modo da obbligare le aziende petrolifere a rispondere dell'inquinamento ambientale, prevenendo così ulteriori abusi.

Oltre ai problemi di salute e quelli ambientali, la popolazione deve anche subire l'ingiustizia sociale: nonostante l'immenso valore economico dei 1700 pozzi petroliferi, dopo circa 50 anni di estrazioni che ogni anno creano l'80% del PIL nazionale, la Nigeria resta uno tra i più poveri paesi africani. L'aspettativa di vita dei 40 milioni di persone che abitano nel Delta del Niger - delle quali il 60% sopravvive grazie alle attività direttamente collegate all'ecosistema - arriva a poco più di 40 anni.  La distribuzione delle risorse non è equa. 


La popolazione cerca di sopravvivere riprendendosi il proprio territorio saccheggiato e devastato dalle logiche imperialistiche, che mietono vittime e sacrificano gli equilibri naturali in tutto il mondo, non solo in Africa, non solo in quello che un tempo era un paradiso ed oggi è solo l'opaco ricordo di una natura violentata. È da qui la nostra associazione si occupa di sensibilizzare l'opinione pubblica a questo grave situazione dato, che i danni subiti sono tristemente di grave entità e di lunga duratura.